Verdura

Una verdura buonissima. La porta sempre un vecchio compagno al nostro circolo. Ex brigatista mai stato cattolico, ora, di idee libertarie. O anarchici o buddisti. Parlava di cene meravigliose con un accento reggiano con pesanti influenze torinesi, un po’ informali. La severa critica ad un passato visto da lontanissimo e con grandissimo rispetto. Un po’ come la muraglia cinese. Accuse pesanti, fascino irresistibile che traspare solo in qualche battuta ironica concessa dopo quattro assemblee consecutive.

Autostrade fredde nei peggior lugli cinici come mai ci saremo aspettati. I cinesi poi sono strani, con l’estetismo forse me la cavo meglio. I rivoluzionari secchioni, pensavamo, si sposano benissimo con autogrill visitati poco, pochissimo, pensavamo, soli.

In attesa di nostalgici dadaismi con isterismi per mancanza di disarmi. Rotoliamo per non farci male, tra cose complicate che pretendiamo di capire, come una morte di libertà, come le urla dietro le sbarre. E non sappiamo niente nella nostra innocenza soffice come una culla, in bilico tra inferno e realtà. E non riesco a capire dove potrei essere meno stanca. Parli parli parli a insegnare giudicare criticare. Analizzare. Forse per noia. Come se fossi estraniato lontano da tutto. La voce diventa stridula, sei semplicemente qui vicino a me, non chissà dove, e puoi avere tutte le insicurezze che vuoi. Anche le mie.


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