Monthly Archives: Novembre 2014

Chiacchierare

È già suono in sé come suono è tutto ciò che richiama cori, canti, chiasso. Abbandoniamo gli elementi negativi quali il rimando al troppo rumore, come se il silenzio fosse un valore o un dovere, e la sua presunta futilità. La chiacchiera è atto che pretende poco ma tanto fa. Dà sollievo, mette in moto i pensieri, guarisce gli animi e condisce meravigliosamente le pause dal lavoro. Io sono contenta delle chiacchiere in ascensore, di quelle dei bimbi appena svegli, di quelle nei bus e alle fermate dei bus, di quelle della mia collega che sono davvero noiose ma pagherei per non farla smettere perché sento il suo sollievo nel riempire le aule. È una pratica narrativa, o una sorta di autoanalisi, è intrattenimento, o semplice spettegolare. Lo puoi fare con tutti, senza chiedere per forza età sesso o genere. A volte in tutte quelle parole si può perdere il senso del tempo, racchiudersi in lunghi periodi con poche pretese. È una pausa dal mondo che mondo crea. Provate a riempirvi delle sensazioni date dalle chiacchiere delle russe alla Montagnola di domenica pomeriggio, dei muratori arrabbiatissimi al bar di via Arno attaccato alla sede del quartiere, o quelle di una mamma con una figlia, o delle vecchissime vicine di casa, che sono vicine da subito dopo la guerra, che si conosco a memoria eppure continuano imperterrite a interessarsi una dell’altra per chiedere e rispondere cose che fanno solo rumore. Cose inutile ma che muovono vita. Sono sicura che ci sarà un totale abbandono dei margini di negatività attorno al chiacchierare, e si arriverà a dire che uno che chiacchiera è pieno di vita, o che contribuisce al miglioramento del pianeta. Si può piangere, o sorridere, si può bisbigliare o gesticolare: non importa, fa bene allo spirito, ed è gratis e senza limiti.


Caro Diario…

Con questo testo ho vinto il concorso “Caro diario..” indetto dalle Messaggerie Sarde di Sassari

30/05/14

Domani si va al mare. Cascasse il mondo. Lo so, sono stanca, sono in piedi da presto con mille tormenti che non mi lasciano mai. Come le telefonate di qualche zia maledetta: hai studiato così tanto per cosa? Dopo tutti questi sacrifici non trovi davvero nient’altro? Ci penso e ripenso. I loro pregiudizi e gli aliti pesanti: come fanno ad avere lo stesso alito di quando ero piccola. Vorrei vedere loro alzarsi ogni santa mattina e non avere neanche la forza di bestemmiare. Con le foto della laurea che ti guardano e speri ogni giorno di dimenticare un bel ricordo di quando pensavi di poter diventare chi volevi. Sono stremata. Ma domani andremo al mare, solo i miei malumori e te. Sarà che è sempre a quest’ora poco prima di cena, nel vuoto irrisorio tra il rientro a casa e la cena, che i pensieri si impiantano tra le lavatrici da fare e i post-it sparsi sulle pareti. E ogni volta mi dico: se solo non ti buttassi sul letto con il giubbotto ancora addosso magari questa centrifuga di ansie la eviteresti. Dovrei accendere il computer appena entro, e sprecare meno carta, darmi un tempo di scrittura e subito a mangiare. Ma non cucino mai. Pochi euro per non avere anche la fame di mezzo e i piatti da lavare. Per l’acidità di stomaco e scontrini ingombranti si può sempre rimandare.

E poi mangio sempre sola. Perché quando rientro tu attacchi e sei già sommersa di patatine e spritz. Tu Lavori sempre la sera io sempre il giorno. Come dobbiamo fare per incontrarci nella stessa casa?

Era tutto incluso: 200 euro con condominio, fuori porta, i tuoi capelli lunghissimi sul cuscino e qualche rara gioia esclusivamente nel fine settimana. Un giorno però vengo al bar e ti rapisco: prendiamo a calci gli ubriaconi e le noccioline, che lo sanno tutti che fanno male, ti aggiusto i capelli che fanno sempre schifo e ci baciamo forte di fronte a tutti. Alla faccia di quel pezzo di merda del tuo padrone: copriti i tatuaggi e truccati un po’… non vorrai mica far venire il dubbio ai clienti se sei o no una femmina? Forse possiamo anche pensare di rinchiuderlo nello sgabuzzino. Ma l’importante è andare via. Dai coinquilini sporchi, e dai lavori di merda, e dalle vite inseguite che non incontreremo mai. Senza valigia, e con tanti giorni andati da cancellare che ci costringono in un continuo confronto tra quel che volevamo e come ora sopravviviamo. Ma domani andiamo al mare.

Sempre con i soldi contati per il regionale puzzolente. E poi litigheremo per la colazione al bar che dici che non c’è bisogno che abbiamo fatto la spesa. Ma a me stare seduta lì a chiacchierare appena sveglia piace, con lo zucchero a velo sparso ovunque e quel quotidiano schifoso, con i tuoi sbadigli ricoperti dal tuo smalto mangiucchiato. Si ferma tutto: speranze deluse e lavori a singhiozzo. Non me la deve togliere nessuno, bolletta del gas compresa. Finalmente è l’ora del mio riso cinese da due euro, un altro giorno finito o sprecato.


Mi ricordo

Mi ricordo la prima volta che ti ho baciato. Avevo le calze rotte e un po’ mi vergongnavo

Mi ricordo quando Elena è guarita, sei piombato in assemblea con tanta gioia e una bottiglia in mano. Sopra c’era il bollino del 30% della coop.

Mi ricordo il primo giorno che ho potuto scioperare. Niente a che vedere con il primo giorno di lavoro.

Mi ricordo l’ultimo corteo a Roma, gli scontri a San Giovanni, e il bruciore dei lacrimogeni. Per fortuna avevo mangiato bene in una spaghetteria e avevo messo le scarpe comode.

Mi ricordo quando mi hai lasciata. Non ho mangiato per un po’ anche quando mamma mi ha fatto le polpette al sugo. Ancora me ne pento.

Mi ricordo dell’Argentina anche se non ci sono mai stata. Mia nonna, mia zia e mia mamma sono eccentriche e invadenti. Bevono mate, non parlano bene l’italiano e hanno degli zigomi bellissimi.

Mi ricordo a prima stanza a Bologna, era più piccola di un ripostiglio e ci stava solo il letto. In Bolognina ci trovi tutto e a volte guardando Piazza dell’Unità mi chiedevo se avessi bisogno di Piazza Maggiore.

Mi ricordo quando ho fatto l’amore la prima volta. Ero a casa in un’amica che ha il papà vigile urbano. Solo tempo dopo ho capito cosa è realmente un orgasmo.

Mi ricordo quando è nata Giulia. Non me ne sono fatta una ragione e ho detto a tutti che era un alieno trovato in giardino. Non potevamo lasciarla sola.

Mi ricordo la prima volta che ho guidato senza patente. L’illegalità con una 2cv è più divertente.

Mi ricordo la gita scolastica dell’ultimo anno di liceo: Barcellona, l’arte, le birre, la camera d’albergo. Ho pomiciato con il più carino della scuola e ancora me ne vanto.