Cucchiai crudi

Sanno di casa le vene inseguite dalle infermiere con sorrisi da cuscini per coccolare le nostre pressioni sul filo dell’apocalisse. Anche i soliti cappuccini sanno di camino.  Oggi mi fanno piangere, i cappuccini.  Fanno venir voglia d’inverno e dei tuoi pomeriggi alla soglia della democrazia. Le sarte che curano i tuoi giorni più belli mai assenti neanche nei miei tormenti e negli svenimenti d’inizio stagione. Si deve lavorare guadagnare partire e te ne andrai fingendo di stare ancora qui a raccontarmi di pagine stampate male e mal governi accademici. Ma non ci casco cosa credi? Torna prima d’andar via. Rimandare all’infinito gli aeroporti i porti  e i portami con te. Ti lancerò le mie lacrime per farti male impacchettati con sorrisi da film di serie b. Le commedie tedesche di fine anni ottanta.  I jeans a vita alta sbiaditi e i lunghissimi capelli biondi senza frangetta senza piastra. Non si capisce bene come mai tengo ancora la televisione accesa. Anche se penso alle ragnatele subito dietro. Ai muri da colorare e a quel libro che ancora non ho finito e l’ultimo che mi hai regalato con descrizioni sessiste ma ti ho comunque detto grazie.  Sprofondata  nel nero di questi cuscini scuri come i miei occhi i miei capelli e il mio pesante vestito. Si chiudono gli occhi sopra cerniere forzate che nessuno salverà clandestine dei migliaia di chilometri dalla superficie. Le sentirò sbattere sopra il portone per far scintillare le parti sconosciute della mia memoria per affogarmi nei fumi premestruali  e rossori pulsanti. Andar via fra i miei tramonti e una ciglia su uno zigomo. Ma sei tu che parti. Per tornare il più tardi possibile e soffocare fra necrologi di amori e telefonate troppo facili. Una cucchiaiata dei miei sorrisi amari come carta da regalo che sono come un  attentato alle tue decisioni che profumano di pane . E i miei minuti a rincorrere la felicità irrespirabile e densa. E l’odore te lo porti sui vestiti tutto il giorno. Una di queste sere tornerò a casa e sarà ancora lì la televisione su televendite coreane senza rumori di addii e i fuochi d’artificio della festa di paese da guardare. Un “ancora” agghiacciante questo divano appiccicoso su cui bestemmierò per trovare una soluzione ai piatti che mi hai lasciato da lavare. Le mie sigarette sgocciolano  sangue su cui farti scivolare su cui farti vomitare. Le mie corse sono stanche di vedermi ansimare. Il divano. Con briciole cicche tazzine di caffè sudore cenere e un odore terribile mi mangia. Devo alzarmi. Le stagioni continuano. I colori si innamorano di me e delle mie primissime rughe che si chiedono come sto, senza lasciarmi  un solo istante distante dal  loro tepore affettuoso . Dalla mia finestra  vedo arrampicarsi pesche noci dolcissime vengono a prendermi  per rinfrescarmi e  farmi tirare su col naso la notte colante. L’alba sa di panna.


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