Monthly Archives: Dicembre 2010

Stasera mi guardo un film.

Poi c’era la riva del po che non avevo messo in conto. Allora mi sposo. Tante volte quante le malattie che si possono prendere solo a guardarlo. Mi basta un si appena sospirato ed è fatta con tutta questa umidità che non ci fa ragionare che sembra un anestesia esilarante. Tutto finto come un borgo medievale dell’ottocento. Come la limpidezza delle acque e la carne di maiale umida quanto un topo di fiume che ormai hanno le squame sai l’inquinamento i rifiuti la neve non basta mai. Tre euro e cinquanta per un infezione felice e appagante. Sali su un gradino e hai bisogno della slitta. Le piazze posizionate male incastrate a casaccio le banlieue forse più mito che realtà per farti sentire a casa ogni sabato mattina­. Lo zucchero a velo attraversato a 200 km orari sembrava di stare nell’est europa se non fosse per qualche accento barese che raccontava di milano. Correva l’anno 1953. La stazione che avanti ieri non c’era. Magari stasera stiamo a casa e chissà cosa ci perdiamo poi mi tocca rinfacciartelo a vita e divento noiosa e per riparare ci vuole l’evento dell’anno da riproporre ogni fine settimana, ovviamente gratuito. E mi perdonerai sempre. Luci. Numeri. Poi la multa e quei cinque euro forse li avrei dovuti spendere per leggere sul quotidiano locale che gli americani sono in vietnam e mandare una cartolina senza saluti con quelle frasi sdolcinate tipo sognami ogni tanto. Tipo quanto cazzo costa il treno peggiore del continente? L’odore di cibo sui vestiti i termosifoni intelligenti il miglior panorama per i miei occhi chiusi le finestre eccentriche nelle peggiori posizioni. La mia indecisione poco prima di attraversare l’oceano su quale riva toccare, ma ora possiamo camminare. Una passeggiata per sposarmi sulla riva del po tutte le volte che mi va.


Ci innamoriamo spesso

Le nostre carte con cui leggerci la vita con una mano persa e l’altra pure per far finta di conoscerci e di capirci. Qui sotto il mondo fa finta d divertirsi noi non fingiamo quasi mai che intanto è come nascondersi i brufoli allo specchio. Il peggior vino degli scaffali della zona industriale e il pane oltreoceano. Le donne che odiano le puttane e le puttane che non odiano le donne avremmo fatto si e no trecentomila riforme della sanità e nessuna morale. Ma tu preghi mai? E quando stai male? Ho mille milioni di bit al minuto nelle vene. Un fiore di campo e non mi rispondi mai. Domani non vengo che se no iniziamo a odiarci oppure vengo e parliamo di questa possibilità. Lo sappiamo da sempre un po’ come le preghiere e le bestemmie che gli anni sempre uguali e i divertimenti non sono compari. Poi aggiungici i soliti gusti i soliti odori le stesse facce a volte interscambiate. Saremo presuntuosi o prepotenti ma si, ma diciamolo pure che noi qualcosa l’abbiamo capita. E dateci pure degli arroganti, ma di quelli che piangono durante i film e giocano con i bambini quelli con un giudizio di troppo e come mai ancora non hai nulla da ridire? Con le nostre opinioni cuciniamo qualsiasi cosa e sfameremo il mondo intero da far invidia a ogni pop star in africa con bambini disinfettati e i chanel da gita fuori porta. Estremista… rispetto a cosa? Ma in fondo che ci importa quando le albe al contrario non riescono a starci dietro offuscate da una grigiore nebbioso ma io ti vedo comunque. Le nostre sperimentazione che non chiedono scusa in una roulette di giudizi inevitabili e drammatici da fine del mondo, ma poi tutti si salvano. O quasi. Tranne i cattivi , la digos, quelli infami come la digos, e quelli che dicono io non sono razzista però. I progetti intergalattici che la palestina a quest’ora avrebbe un universo, altro che stato. Le lacrime sono per il fumo negli occhi mica per la tua playlist di cantautori italiani andati già a male che puzzano peggio di una carcassa. Forse questa è carina. Forse mi fa schifo. Tutte le canzoni che ti ho dedicato che mi hai dedicato che ancora non ho ascoltato e ti lamenti sempre per le mie fissazioni per le parole e mai per le melodie. L’importanza della rivoluzione elettronica degli anni settanta che ancora ti devo raccontare ha molto a che fare con tutto ciò e soprattutto con l’odio che ho per le casse del computer. Ormai io, ne ho solo mezza e l’altra metà non ricordo più che faccia ha. E continui a cantare qualcosa che non ricordi tra un discorso e l’altro più o meno importante più o meno da sussurrare in cucina, e fuggire di corsa per poi ridere a dispetto di tutto per ridere senza ritegno e senza dignità. E poi parlavamo d’amore sempre d’amore e d’amore ma non di quello banale e non di quello di tutti i giorni, parlavamo d’amore , insomma parlavamo d’altro.