Monthly Archives: Novembre 2010

tu, io, dopodomani.

Chissà come mai qui il freddo non è ancora arrivato. Chi è andato via ha già passato la febbre. Noi sudiamo ancora. Ma lo sai che da grandi avremo bisogno di molte più cure perché anche la febbre sarà diversa, meno romantica sicuramente. Quando eravamo piccoli, non molto tempo fa quando entrambi avevamo troppi capelli ci guarivano i fazzoletti bianchi, anzi forse non ci accorgevamo neanche di essere malati. Ora, qui di fronte alla farmacia che è sempre aperta tranne adesso ad aspettare qualche veleno per farti passare il più sano dei mal di testa. Siamo piccoli e impazienti, siamo piccoli vero? Ma quando saremo grandi, fra tanto tempo vivremo lontano lontanissimo da qui e anche se non vuoi andar via  lo sai che ti impacchetterò senza ricevuta di ritorno. Poi torna pure. Salveremo metà del mondo. Una parte io una parte tu; io voglio medio oriente e sud america che fa figo che tutti più o meno almeno un volta ne parlano, anche quelli che non leggono i giornali che prendiamo volentieri in giro, ma ci passano anche i lettori assidui, i quotidiani e i mensili e i settimanali.  E io ne ho una di troppo di opinione. E tu non sei il detentore del troppo. Magari moriamo laggiù in quel lontano anche se breve o passeggero. E la tua famiglia l’avrai già dovuta costruire. E se i nostri futuri si scambiano come malignamente mi  auguri ti mando una cartolina ma saremo via, si anche tu, anche se ora ti sembra strano e improbabile. Ti scrivo bene l’indirizzo così vieni a trovarmi e non avremo mai abbastanza tempo per finire i nostri discorsi. Non capisco come fai  a capirmi. Sembra sempre che ci vediamo dopo tanti anni ma siamo piccolini e i giorni ci sembrano anni. Immaginiamo i nostri domani, ma in fondo, tu,  volevi crescere davvero? Con la nostalgia dei nostri mal di niente fra chissà  quale tempo in qualche città inquinata o in qualche paese sperduto, magari in questo, con qualche lavoro che non ci piacerà mai abbastanza a  ricordarmi che mi devo ricordare di raccontarti che…


Binari

Ritroviamoci alle stazioni dei treni, quelle grandi con un sacco di valigie custodite per bene a salutare la gente che non conosciamo, a sbracciarsi per volti mai visti e urlare lunghissimi ciao e un mi mancherai. Procuriamoci un fazzoletto bianco e il collirio per le lacrime e quei cappotti larghi per gli abbracci che ti mangiano per far finta di consolarci. Andiamo a sbirciare gli adii della gente che si vuole, ancora, bene. Sentiamo i loro pianti e le lacrime che non riescono a trattenere ad assaporare i loro reali strazi. Quel misto di voglio che rimani ma è giusto che tu vada. Prepariamoci, cosa ci si mette per essere così tristi? E che sia qualcosa di credibile, dobbiamo sembrare davvero dispiaciuti per questa partenza simulata. Non so forse la gente si veste peggio del solito, magari quando sa che sta per soffrire si veste male, non ci pensa. Oppure meglio perché sa che quel giorno lo ricorderà a lungo e fra tanti anni vorrà dire “quel giorno in cui partì avevo indosso….me lo ricordo ancora!”. Dobbiamo fare le prove. Poi bisogna pensare a quale canzone ascoltare il giorno, una di quelle allegre che conserveranno per noi un retrogusto tristissimo. Poi a cosa mangiare anche se quando si è tristi solitamente si ha lo stomaco strozzato. Come arrivarci! insomma veicolo proprio prestato a due ruote pubblico o rubato momentaneamente. Con chi andare. Ma forse è una di quelle cose private in cui ti vogliono lasciar sola che imbarazzano che è meglio così. Speriamo ci siano quelle macchinette cavalcate da degli omini che lavano la stazione stanno lì avanti e indietro a strisciare sui pavimenti calpestatissimi, sembrano felici, poi deve essere interessante essere gli unici a guidare in un posto dove oltre te è solo il treno che va. Forse sono felici. Se ci sono sarà una di quelle cose che mi ricorderò quando ci ripenserò. Ma non so mi voglio preparare non va bene improvvisare è una cosa delicata. Proviamoci.