Quando l’estate ci perseguitava

La ricerca fallimentare di contraccettivi spontaneisti in nottate in cui i luoghi comuni sui fuori sede si sprecano. L’indipendenza di un pigiama in vie larghe con tante luci al di là dei ponti e dei centri che calano dall’alto. L’aranciata cinese è una realtà che non perde un colpo, fondamentale, coerente. Per distinguerci con una certa umiltà e ragionamenti che svuotano. Succhiata. Scossa un po’, senza ritmo, di tanto in tanto. Le colazioni lunghissime perché ci si sveglia un po’ più tardi che il sole perde la sua importanza. A parte quando nevica da una settimana ed era proprio il giorno in cui abbiamo deciso di andare via senza avvisare nessuno, neanche noi.  Quando l’estate ci perseguitava, ed io avevo un po’ di paura.


L’importanza del giornalismo

Ti ricordi quando piovevano cani dai tetti dei circoli anarchici a cui c’eravamo affezionati. I punkabbestia hanno sempre avuto un rapporto strano con il mondo animale, chissà se prima o poi ne faranno una puntata su discovery channel, magari ci intervistano. Quando leggerai il nome dei miei più meno vent’anni  sul giornale on line dove si muore di freddo e non è un modo di dire, in cui si brucia, in cui si vota(no), che trema, altra giornata di lotta, studenti dicono contro contro anche se noi vogliamo andare un po’ più in là. chissà se un po’ mi penserai e ogni volta che qui succederà qualcosa di brutto magari per un nano secondo… e se fosse successo a lei? Chissà se mi pensi. Chissà se quando sfiori qualcosa o qualcuno ti chiedi se sono io. O vorresti che fossi io. Ti faccio squillare il telefono per non farti dimenticare i miei occhi. Dicono che sono grandi ma a me non è mai sembrato. Cerchiamo un ristorante messicano per ballare sui tavoli e far impazzire i camerieri e dopo che ci saremo divertiti abbastanza diremo che era un performance politica solidale contro lo sfruttamento del folklore oltreoceano occidentalizzato e quindi viva la rivoluzione messicana tunisina giapponese caraibica valtellinese interplanetaria lunare. Il medioriente, si mi sono innamorata. Le biciclette fanno l’amore in piazza verdi. E non so che dire mi manca il fiato…


Sveglia con fuso orario

il sangue tunisino ha un retrogusto strano. Mica te lo scordi. Dentro avevamo un tremore inquietante, nello stomaco un po’ di dolore un po’ di eccitazione questo mediterraneo che bolle cristo ma che cazzo? E credici un’ altro po’. Poi saremo a beirut o in giordania ad ankara a baalbeck in una casa che arrederemo con mobili che avremo sempre e solo per qualche anno. La sera faremo gli intellettuali fra di noi. Un parte del mondo sotto luoghi comuni e devianze storiche, spolvereremo pian piano questa montagna di merda. Con un pennellino. Perché ci vuole il posto giusto che sia la chiave di tutto. Vinceremo intifada questa volta va bene tunis horra un altro cazzo di minuto resistete resistiamo cazzo quanto fa male. I pregiudizi da abbattere con l’esercito delle tasse universitarie. Poi saremo grandi sul vero mediterraneo e ancora ci spereremo ci spareremo ci spargeremo di queste lacrime convinte e incazzate oggi lo ricorderanno in molti. Avevamo ventitreanni tu ti stiravi le camicie rubavi internazionale volevamo fare la rivoluzione ma mi hanno fottuto la bici. Faremo l’amore con gli affitti faremo l’amore con i nostri sogni che dipingiamo di concretezza. Ce la faremo. Qualcosa la faremo. Ricordati di dire a tua mamma che non ti spareranno. Nei nostri domani deserto, piatti da lavare per concerti da collezionare e un dizionario arabo-inglese come se la lingua fosse unica compatta tranquilla. Ci addormentiamo felici. Ci addormentiamo facendo finta di non svegliarci.


B…aciami O…ra

La finestra spalancata sul tuo volto. Ogni mattina. Per svegliarmi come si deve  anche se mi dici non c’è fretta  che mi devo rilassare. Non posso stare troppo senza toccarti sfiorarti respirarti e farmi massacrare la pelle del volto dai tuoi modi a volte bruschi come la neve negli occhi, come la nebbia da sniffare. Guardami dai. non mi chiedere perché piango. Buongiorno amore mio, oggi ti porto il caffè a letto che è l’unica cosa che ho da offrirti. Buongiorno anche se i tuoi grazie arrivano tardi inaspettati, solo ogni tanto. E stanotte sarai ancora più atroce senza chiedere ne scusa ne per favore ti fiondi su di me incurante dei passanti incurante dei rischi delle tue mani freddissime. Dai, avvicinati …un altro po’.


bc

Buchi, dislivelli, passeggini, collaborazionisti del consumismo natalizio, automobili, sbirri del traffico, gradini improbabili, quello che si veste come un autonomo, quella tipa che non c’ha un cazzo da fare, oh cazzo macchina, camion, bus, navetta, tram, vecchietta, motorino, altra bici ma che guardi? Ah ok. era un sorriso. ponte, treno, levati che non c’ho freni, levati. Inventare piste ciclabili per sopravvivenze inaspettate. Come fanno i miei piedini a fare tutto questo rumore? Non pensavo di poter essere così legale nello spostarmi senza manco un furto senza manco un contributo alla micro criminalità. Le mie solitudini condivise un po’ snob. Le porte qui le incrocio io. Un campanellino part-time. I mattoncini rossi nascondono la notte che mi sembra desolata questa città sembra sempre avere la stessa ora, poi mentre si discuteva di gru impopolari quelle che stanno ancora più a nord guardavo un pezzettino di cielo in un inaspettato momento tranquillo, una stella cadente metropolitana mi scombinava i capelli, ormai diversi. Dicevamo che qui stelle non ce n’erano. Dicevamo di non avere più sogni irreali. Dicevamo chi sa quando. Le bici stortissime che vibrano ai 180 mila km orari e inaspettatamente vanno dritte. Poi un euro che pesa quanto un macigno quanto l’unico bicchiere di vino di ogni sera di via paolo fabbri di via da qui se non ci sei. E natale non mi sfiora. E il caffè finisce sempre come lo zucchero come la simpatia per la coop con i suoi commessi frichettoni ed un eticità da più spendi più sei buono. Come i nostri occhi sconvolti. Tranne i piatti e gli affitti, quelli non finiscono mai. Anche se è un furto anche se stasera lo diciamo a tutti. Con il centro blindato con lo shopping alleato di ogni male per cui ci copriamo il volto. Che poi non c’è così freddo e magari per le vacanze mi vieni a trovare. Anche se io in vacanza non vado mai. Sarà un anno e mezzo che non mi riposo. Adesso piano piano piano ancora piano: ghiaccio zero io uno. Lo spazzaneve ci porterà via un giorno o l’altro e non ce ne accorgeremo, lo sai si? E tu continui a disegnare sui muri la tua disperazione la tua ansia intercontinentale che mi sembri via zamboni il ventinove di dicembre e io continuo a dirti che se è illegale è più bello.


Stasera mi guardo un film.

Poi c’era la riva del po che non avevo messo in conto. Allora mi sposo. Tante volte quante le malattie che si possono prendere solo a guardarlo. Mi basta un si appena sospirato ed è fatta con tutta questa umidità che non ci fa ragionare che sembra un anestesia esilarante. Tutto finto come un borgo medievale dell’ottocento. Come la limpidezza delle acque e la carne di maiale umida quanto un topo di fiume che ormai hanno le squame sai l’inquinamento i rifiuti la neve non basta mai. Tre euro e cinquanta per un infezione felice e appagante. Sali su un gradino e hai bisogno della slitta. Le piazze posizionate male incastrate a casaccio le banlieue forse più mito che realtà per farti sentire a casa ogni sabato mattina­. Lo zucchero a velo attraversato a 200 km orari sembrava di stare nell’est europa se non fosse per qualche accento barese che raccontava di milano. Correva l’anno 1953. La stazione che avanti ieri non c’era. Magari stasera stiamo a casa e chissà cosa ci perdiamo poi mi tocca rinfacciartelo a vita e divento noiosa e per riparare ci vuole l’evento dell’anno da riproporre ogni fine settimana, ovviamente gratuito. E mi perdonerai sempre. Luci. Numeri. Poi la multa e quei cinque euro forse li avrei dovuti spendere per leggere sul quotidiano locale che gli americani sono in vietnam e mandare una cartolina senza saluti con quelle frasi sdolcinate tipo sognami ogni tanto. Tipo quanto cazzo costa il treno peggiore del continente? L’odore di cibo sui vestiti i termosifoni intelligenti il miglior panorama per i miei occhi chiusi le finestre eccentriche nelle peggiori posizioni. La mia indecisione poco prima di attraversare l’oceano su quale riva toccare, ma ora possiamo camminare. Una passeggiata per sposarmi sulla riva del po tutte le volte che mi va.


Ci innamoriamo spesso

Le nostre carte con cui leggerci la vita con una mano persa e l’altra pure per far finta di conoscerci e di capirci. Qui sotto il mondo fa finta d divertirsi noi non fingiamo quasi mai che intanto è come nascondersi i brufoli allo specchio. Il peggior vino degli scaffali della zona industriale e il pane oltreoceano. Le donne che odiano le puttane e le puttane che non odiano le donne avremmo fatto si e no trecentomila riforme della sanità e nessuna morale. Ma tu preghi mai? E quando stai male? Ho mille milioni di bit al minuto nelle vene. Un fiore di campo e non mi rispondi mai. Domani non vengo che se no iniziamo a odiarci oppure vengo e parliamo di questa possibilità. Lo sappiamo da sempre un po’ come le preghiere e le bestemmie che gli anni sempre uguali e i divertimenti non sono compari. Poi aggiungici i soliti gusti i soliti odori le stesse facce a volte interscambiate. Saremo presuntuosi o prepotenti ma si, ma diciamolo pure che noi qualcosa l’abbiamo capita. E dateci pure degli arroganti, ma di quelli che piangono durante i film e giocano con i bambini quelli con un giudizio di troppo e come mai ancora non hai nulla da ridire? Con le nostre opinioni cuciniamo qualsiasi cosa e sfameremo il mondo intero da far invidia a ogni pop star in africa con bambini disinfettati e i chanel da gita fuori porta. Estremista… rispetto a cosa? Ma in fondo che ci importa quando le albe al contrario non riescono a starci dietro offuscate da una grigiore nebbioso ma io ti vedo comunque. Le nostre sperimentazione che non chiedono scusa in una roulette di giudizi inevitabili e drammatici da fine del mondo, ma poi tutti si salvano. O quasi. Tranne i cattivi , la digos, quelli infami come la digos, e quelli che dicono io non sono razzista però. I progetti intergalattici che la palestina a quest’ora avrebbe un universo, altro che stato. Le lacrime sono per il fumo negli occhi mica per la tua playlist di cantautori italiani andati già a male che puzzano peggio di una carcassa. Forse questa è carina. Forse mi fa schifo. Tutte le canzoni che ti ho dedicato che mi hai dedicato che ancora non ho ascoltato e ti lamenti sempre per le mie fissazioni per le parole e mai per le melodie. L’importanza della rivoluzione elettronica degli anni settanta che ancora ti devo raccontare ha molto a che fare con tutto ciò e soprattutto con l’odio che ho per le casse del computer. Ormai io, ne ho solo mezza e l’altra metà non ricordo più che faccia ha. E continui a cantare qualcosa che non ricordi tra un discorso e l’altro più o meno importante più o meno da sussurrare in cucina, e fuggire di corsa per poi ridere a dispetto di tutto per ridere senza ritegno e senza dignità. E poi parlavamo d’amore sempre d’amore e d’amore ma non di quello banale e non di quello di tutti i giorni, parlavamo d’amore , insomma parlavamo d’altro.


tu, io, dopodomani.

Chissà come mai qui il freddo non è ancora arrivato. Chi è andato via ha già passato la febbre. Noi sudiamo ancora. Ma lo sai che da grandi avremo bisogno di molte più cure perché anche la febbre sarà diversa, meno romantica sicuramente. Quando eravamo piccoli, non molto tempo fa quando entrambi avevamo troppi capelli ci guarivano i fazzoletti bianchi, anzi forse non ci accorgevamo neanche di essere malati. Ora, qui di fronte alla farmacia che è sempre aperta tranne adesso ad aspettare qualche veleno per farti passare il più sano dei mal di testa. Siamo piccoli e impazienti, siamo piccoli vero? Ma quando saremo grandi, fra tanto tempo vivremo lontano lontanissimo da qui e anche se non vuoi andar via  lo sai che ti impacchetterò senza ricevuta di ritorno. Poi torna pure. Salveremo metà del mondo. Una parte io una parte tu; io voglio medio oriente e sud america che fa figo che tutti più o meno almeno un volta ne parlano, anche quelli che non leggono i giornali che prendiamo volentieri in giro, ma ci passano anche i lettori assidui, i quotidiani e i mensili e i settimanali.  E io ne ho una di troppo di opinione. E tu non sei il detentore del troppo. Magari moriamo laggiù in quel lontano anche se breve o passeggero. E la tua famiglia l’avrai già dovuta costruire. E se i nostri futuri si scambiano come malignamente mi  auguri ti mando una cartolina ma saremo via, si anche tu, anche se ora ti sembra strano e improbabile. Ti scrivo bene l’indirizzo così vieni a trovarmi e non avremo mai abbastanza tempo per finire i nostri discorsi. Non capisco come fai  a capirmi. Sembra sempre che ci vediamo dopo tanti anni ma siamo piccolini e i giorni ci sembrano anni. Immaginiamo i nostri domani, ma in fondo, tu,  volevi crescere davvero? Con la nostalgia dei nostri mal di niente fra chissà  quale tempo in qualche città inquinata o in qualche paese sperduto, magari in questo, con qualche lavoro che non ci piacerà mai abbastanza a  ricordarmi che mi devo ricordare di raccontarti che…


Binari

Ritroviamoci alle stazioni dei treni, quelle grandi con un sacco di valigie custodite per bene a salutare la gente che non conosciamo, a sbracciarsi per volti mai visti e urlare lunghissimi ciao e un mi mancherai. Procuriamoci un fazzoletto bianco e il collirio per le lacrime e quei cappotti larghi per gli abbracci che ti mangiano per far finta di consolarci. Andiamo a sbirciare gli adii della gente che si vuole, ancora, bene. Sentiamo i loro pianti e le lacrime che non riescono a trattenere ad assaporare i loro reali strazi. Quel misto di voglio che rimani ma è giusto che tu vada. Prepariamoci, cosa ci si mette per essere così tristi? E che sia qualcosa di credibile, dobbiamo sembrare davvero dispiaciuti per questa partenza simulata. Non so forse la gente si veste peggio del solito, magari quando sa che sta per soffrire si veste male, non ci pensa. Oppure meglio perché sa che quel giorno lo ricorderà a lungo e fra tanti anni vorrà dire “quel giorno in cui partì avevo indosso….me lo ricordo ancora!”. Dobbiamo fare le prove. Poi bisogna pensare a quale canzone ascoltare il giorno, una di quelle allegre che conserveranno per noi un retrogusto tristissimo. Poi a cosa mangiare anche se quando si è tristi solitamente si ha lo stomaco strozzato. Come arrivarci! insomma veicolo proprio prestato a due ruote pubblico o rubato momentaneamente. Con chi andare. Ma forse è una di quelle cose private in cui ti vogliono lasciar sola che imbarazzano che è meglio così. Speriamo ci siano quelle macchinette cavalcate da degli omini che lavano la stazione stanno lì avanti e indietro a strisciare sui pavimenti calpestatissimi, sembrano felici, poi deve essere interessante essere gli unici a guidare in un posto dove oltre te è solo il treno che va. Forse sono felici. Se ci sono sarà una di quelle cose che mi ricorderò quando ci ripenserò. Ma non so mi voglio preparare non va bene improvvisare è una cosa delicata. Proviamoci.


io ODIO la scuola pubblica

volantino per il consueto autunno tiepido di queste parti.